Finalmente un tema nuovo al
cinema, assolutamente trascurato da tutti i canali di informazione ‘seri’ così
come nella settima arte. Mentre alla boxe sono state dedicate decine di
pellicole, di quella rozza rappresentazione carnevalesca com’era considerato il
Wrestling non si interessava nessuno, convinti che appartenesse solo a un
sottobosco culturalmente inferiore e tipicamente nordico e anglosassone.
Qualcuno per decenni ci ha fatto credere che i bizzarri personaggi di questo
sport non fossero altro che acrobati. E se è vero che in forme di lotta più
rispettate -come la boxe- si aveva la certezza che molti incontri erano
truccati, possiamo immaginare cosa ci poteva essere dietro al wrestling!
L’unico film celebre in cui si mostravano potenti scene di questo sport - che
visse i suoi massimi splendori negli anni 80 - fu Highlander, con il suo folgorante inizio sulle note di “Princes of
the Universe” dei Queen.
A quest’oblio il cinema ha messo finalmente
fine con l’ennesima parabola sui perdenti The Wrestler, dalla trama abbastanza
semplice ma raccontato con suprema intelligenza da Darren Aronofsky (suo fu
l’estetizzante Requiem for a Dream),
svelandoci tristi verità su questo mondo e servendosi di un attore sottostimato
al pari dello sport che viene descritto. Immediatamente il pubblico e la
critica hanno accolto con entusiasmo, come è solito fare, questa
identificazione di decadenza personale e sportiva che rappresentavano Mickey Rurke
e il Wrestling. Il fatto che il regista non sia certo uno del mainstream
hollywoodiano aiutò ulteriormente l’immagine di quest’opera controcorrente e
coraggiosa. Ma non si tratta solo di
cornice: questo film mette palesemente in luce le autentiche, nocive abitudini
a cui si sottopongono questi uomini per mettere in pratica tale apparente ‘messinscena’.
Di sicuro devono avere prontezza di riflessi per assecondare la coerografia
spettacolare dei movimenti senza uccidersi sul ring, ma devono comunque
prepararsi anche a schienate, buttate fuori dal ring, colpi bassi, scorrettezze e errori, ed essere pronti ad
immolarsi in favore del pubblico quando lo spettacolo latita autoferendosi
nascostamente fino a sanguinare (immagini che nemmeno le tv minori italiane
hanno mai trasmesso per non turbare il pubblico), spararsi a vicenda con
pistole sparapunti e a spaccarsi i bicipiti fino a rischiare l’infarto.
Cosa tutto questo mix di
violenza, antidolorifici presi quotidianamente a dosi massicce e ormoni per la
crescita abbiano a che fare con lo sport è tutto da dimostrare, ma è ormai
fuori discussione che i wrestler siano persone che si preparano e fanno fatica,
fino ad essere praticamente estenuati o invaldi ai 30 anni di età. La loro
parabola di sport e autodistruzione è del tutto paragonabile a quella dei
lottatori Sumo giapponesi.
Quanti di noi si sono chiesti
come possa essere la psicologia di un wrestler? Forse pochi, e quei pochi
probabilmente non se ne saranno fatti un’idea molto alta… Questo film riempie anche
questa lacuna, in considerazione del fatto che regista e attore hanno
frequentato i veri lottatori per documentarsi al meglio sull’argomento.
Rurke dà una rappresentazione
credibile di Ram, questo personaggio naif che visse i suoi fasti naturalmente
negli anni ’80 e oggi si muove ferito nel corpo e nello spirito con
rassegnazione e celata nostalgia, carico di orgoglio ma sincero. L’uomo, dopo
un atroce combattimento, a 50 anni di età si trova a un passo dalla morte ed è
costretto a cercarsi un’impossibile vita normale, e compie così un percorso di
riavvicinamento con la figlia abbandonata, cerca un lavoro ordinario e una relazione
stabile con l’unico tipo di donna che uno come lui potrebbe permettersi, una
prostituta (Marisa Tomei). Sfortunatamente quest’uomo è impreparato a tutto ciò
che è estraneo al suo sport, e si trova presto smarrito fino a sentirsi
umiliato nel confronto col suo glorioso passato. All’ultimo, in un sussulto di
orgoglio, prende una decisione drastica, naturalmente in modo spettacolare come
gli si addice.
Oltre allo svelamento di questo
sottobosco, uno dei due meriti principali del film è quello di non presentare
Ram come un uomo saggio e rinsavito, intelligente e profondo, ma semplicemente
come è probabile che la maggior parte dei wrestler sia: onesto e sincero ma
inaffidabile, instabile e bisognoso di conferme. Non è un eroe né il suo
contrario, Ram, ma una persona pacifica irresistibilmente soggetta a cedimenti
ai vizi al punto di scordarsi di un importantissimo appuntamento con la figlia
che lui un tempo abbandonò al suo destino per pura superficialità. Il tipo di
persona che ha bisogno di essere messa continuamente di fronte alle sue
responsabilità. Non lo assolvi (come d’altra parte non si assolverebbe lui) ma
nemmeno lo condanni, semplicemente tifi per lui.
Stilisticamente il film vede il
suo lato più sorprendente nella durissima scena del combattimento che mette per la prima volta fori uso Ram: si
trattava del momento che cambia la vita al protagonista, e quindi, giustamente,
Aronofsky sceglie di trasmetterlo con un notevole scossone emotivo, mostrandoci
prima il sanguinoso scenario finale dell’incontro e poi, dopo il sospiro di
sollievo, un flashback a sorpresa in cui ci vengono mostrati in dettaglio i 15
minuti prima di quell’epilogo. In tal modo, difficilmente avremo la possibilità
di restare indifferenti di fronte a questo drammatico incontro e difficilmente
lo dimenticheremo.
Altre scene da ricordare,
ancorché più tradizionali, il pomeriggio passato da lui insieme alla figlia nel
primo riavvicinamento coi suoi dialoghi semplici e in linea col personaggio, e
tutte le scene che lo vedono commesso in una macelleria (divertente il momento
in cui prima di andare dietro il bancone immagina di sentire il pubblico che
acclama il suo ingresso), compresa la ribellione finale.
Un film assoutamente da vedere
NON per la trama, ma per tutto ciò che non è sintetizzabile con essa. Per primo
motivo l’estrema credibilità del protagonista, dei dialoghi e del redivivo
attore. E, perché no, anche per saperne di più sull’originalissimo tema del
wrestling.
Giovanni Modica (recensione fatta nel marzo del 2009)
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