sabato 9 marzo 2013

THE WRESTLER di Darren Aronofsky

Finalmente un tema nuovo al cinema, assolutamente trascurato da tutti i canali di informazione ‘seri’ così come nella settima arte. Mentre alla boxe sono state dedicate decine di pellicole, di quella rozza rappresentazione carnevalesca com’era considerato il Wrestling non si interessava nessuno, convinti che appartenesse solo a un sottobosco culturalmente inferiore e tipicamente nordico e anglosassone. Qualcuno per decenni ci ha fatto credere che i bizzarri personaggi di questo sport non fossero altro che acrobati. E se è vero che in forme di lotta più rispettate -come la boxe- si aveva la certezza che molti incontri erano truccati, possiamo immaginare cosa ci poteva essere dietro al wrestling! L’unico film celebre in cui si mostravano potenti scene di questo sport - che visse i suoi massimi splendori negli anni 80 - fu Highlander, con il suo folgorante inizio sulle note di “Princes of the Universe” dei Queen.
A quest’oblio il cinema ha messo finalmente fine con l’ennesima parabola sui perdenti  The Wrestler, dalla trama abbastanza semplice ma raccontato con suprema intelligenza da Darren Aronofsky (suo fu l’estetizzante Requiem for a Dream), svelandoci tristi verità su questo mondo e servendosi di un attore sottostimato al pari dello sport che viene descritto. Immediatamente il pubblico e la critica hanno accolto con entusiasmo, come è solito fare, questa identificazione di decadenza personale e sportiva che rappresentavano Mickey Rurke e il Wrestling. Il fatto che il regista non sia certo uno del mainstream hollywoodiano aiutò ulteriormente l’immagine di quest’opera controcorrente e coraggiosa. Ma non si  tratta solo di cornice: questo film mette palesemente in luce le autentiche, nocive abitudini a cui si sottopongono questi uomini per mettere in pratica tale apparente ‘messinscena’. Di sicuro devono avere prontezza di riflessi per assecondare la coerografia spettacolare dei movimenti senza uccidersi sul ring, ma devono comunque prepararsi anche a schienate, buttate fuori dal ring, colpi bassi,  scorrettezze e errori, ed essere pronti ad immolarsi in favore del pubblico quando lo spettacolo latita autoferendosi nascostamente fino a sanguinare (immagini che nemmeno le tv minori italiane hanno mai trasmesso per non turbare il pubblico), spararsi a vicenda con pistole sparapunti e a spaccarsi i bicipiti fino a rischiare l’infarto.
Cosa tutto questo mix di violenza, antidolorifici presi quotidianamente a dosi massicce e ormoni per la crescita abbiano a che fare con lo sport è tutto da dimostrare, ma è ormai fuori discussione che i wrestler siano persone che si preparano e fanno fatica, fino ad essere praticamente estenuati o invaldi ai 30 anni di età. La loro parabola di sport e autodistruzione è del tutto paragonabile a quella dei lottatori Sumo giapponesi.
Quanti di noi si sono chiesti come possa essere la psicologia di un wrestler? Forse pochi, e quei pochi probabilmente non se ne saranno fatti un’idea molto alta… Questo film riempie anche questa lacuna, in considerazione del fatto che regista e attore hanno frequentato i veri lottatori per documentarsi al meglio sull’argomento.
Rurke dà una rappresentazione credibile di Ram, questo personaggio naif che visse i suoi fasti naturalmente negli anni ’80 e oggi si muove ferito nel corpo e nello spirito con rassegnazione e celata nostalgia, carico di orgoglio ma sincero. L’uomo, dopo un atroce combattimento, a 50 anni di età si trova a un passo dalla morte ed è costretto a cercarsi un’impossibile vita normale, e compie così un percorso di riavvicinamento con la figlia abbandonata, cerca un lavoro ordinario e una relazione stabile con l’unico tipo di donna che uno come lui potrebbe permettersi, una prostituta (Marisa Tomei). Sfortunatamente quest’uomo è impreparato a tutto ciò che è estraneo al suo sport, e si trova presto smarrito fino a sentirsi umiliato nel confronto col suo glorioso passato. All’ultimo, in un sussulto di orgoglio, prende una decisione drastica, naturalmente in modo spettacolare come gli si addice.
Oltre allo svelamento di questo sottobosco, uno dei due meriti principali del film è quello di non presentare Ram come un uomo saggio e rinsavito, intelligente e profondo, ma semplicemente come è probabile che la maggior parte dei wrestler sia: onesto e sincero ma inaffidabile, instabile e bisognoso di conferme. Non è un eroe né il suo contrario, Ram, ma una persona pacifica irresistibilmente soggetta a cedimenti ai vizi al punto di scordarsi di un importantissimo appuntamento con la figlia che lui un tempo abbandonò al suo destino per pura superficialità. Il tipo di persona che ha bisogno di essere messa continuamente di fronte alle sue responsabilità. Non lo assolvi (come d’altra parte non si assolverebbe lui) ma nemmeno lo condanni, semplicemente tifi per lui.
Stilisticamente il film vede il suo lato più sorprendente nella durissima scena del combattimento che  mette per la prima volta fori uso Ram: si trattava del momento che cambia la vita al protagonista, e quindi, giustamente, Aronofsky sceglie di trasmetterlo con un notevole scossone emotivo, mostrandoci prima il sanguinoso scenario finale dell’incontro e poi, dopo il sospiro di sollievo, un flashback a sorpresa in cui ci vengono mostrati in dettaglio i 15 minuti prima di quell’epilogo. In tal modo, difficilmente avremo la possibilità di restare indifferenti di fronte a questo drammatico incontro e difficilmente lo dimenticheremo.
Altre scene da ricordare, ancorché più tradizionali, il pomeriggio passato da lui insieme alla figlia nel primo riavvicinamento coi suoi dialoghi semplici e in linea col personaggio, e tutte le scene che lo vedono commesso in una macelleria (divertente il momento in cui prima di andare dietro il bancone immagina di sentire il pubblico che acclama il suo ingresso), compresa la ribellione finale.
Un film assoutamente da vedere NON per la trama, ma per tutto ciò che non è sintetizzabile con essa. Per primo motivo l’estrema credibilità del protagonista, dei dialoghi e del redivivo attore. E, perché no, anche per saperne di più sull’originalissimo tema del wrestling.
 
Giovanni Modica (recensione fatta nel marzo del 2009)

Nessun commento:

Posta un commento