venerdì 8 marzo 2013

OCCHI DI CRISTALLO di Eros Puglielli

Da qualche anno si assiste ormai alla quasi totale rivalutazione del cinema di genere nostrano.
Dico quasi perché (e questo forse non sarà stato notato da tutti) c’è un genere che non viene quasi mai citato, ed è uno dei miei preferiti in assoluto: il giallo. Su questo, non so perché, ha sempre prevalso l’horror, sia nelle preferenze degli internauti, sia in quelle degli acquirenti di dvd. Per non parlare del GSBM (Gran Sacerdote dei B-Movies) Quentin Tarantino, sempre pronto a riscoprire gemme del poliziesco o del western, ma poco propenso a glorificare i film d’intreccio; fatto strano, essendo Pulp fiction una delle più accattivanti storie ad intreccio mai prodotte in celluloide. Per quanto riguarda questo genere, il nostro simpatico GSBM ha tessuto le lodi solo di Cosa avete fatto a Solange? di Massimo Dallamano, di Sette note in nero di Lucio Fulci e di Profondo rosso di Dario Argento, limitandosi poi a citare frettolosamente soltanto qualcosa di Sergio Martino o di Umberto Lenzi. Cosa sacrosanta ma, secondo me, ancora insufficiente, considerata la mole di una produzione di oltre 120 film.
Quando ho visto annunciare per la prima volta questo sedicente giallo dal titolo Occhi di cristallo, dunque, forse anche a causa di quella luccicante parola che mi riportava al celebre L’uccello dalle piume di cristallo, mi sono fregato le mani. Ma due giorni fa ci ha pensato il film a fregarmi tutto il resto, e comincio solo ora a capire che l’attività di recensore può essere anche molto dura, tanto che ho pensato se fosse davvero il caso, non essendo costretto a farlo, di scrivere qualcosa su un film che non mi ha convinto del tutto. Alla fine mi sono risposto di sì, perché qualcosa di interessante da dire comunque c’è… e non per stroncare!
Intanto è una storia ad intreccio, uno dei pochi ma coraggiosi tentativi di far rinascere il thriller italiano, il che rappresenta apparentemente un paradosso, se si pensa al fatto che generi ‘vintage’ più alla moda come appunto il ‘poliziottesco’ o il western non vantano nel nostro paese neanche questi pochi tentativi. Ma il controsenso è apparente perché il poliziesco è, con le dovute differenze, delegato ai serial tv come La squadra, e il western è defunto, nonostante gli sforzi di Kevin Costner, anche negli USA. Mentre il thriller e il mystery nel mondo sono vivi e vegeti! Dunque perché non rifarli anche qui, come una volta? Altrimenti restiamo con Don Matteo e Il maresciallo Rocca, che di suspense ne hanno ben poca!! Così, da qualche tempo, Alex Infascelli cerca di fare nuovi film di questo tipo, ed ora anche Eros Puglielli. Ma purtroppo sembra che più che rifarsi alla tradizione del giallo fulciano o argentiano, magari aggiornandola, questi registi abbiano visto troppe volte Il silenzio degli innocenti, con tutti quei collage di corpi e l’ostentata estetica del degradato e del disturbante. E con una certa vena horror particolarmente marcata che li rende lontani parenti solo dei gialli più estremi del nostro cinema degli ‘80 (Tenebre e Lo squartatore di New York) e della seconda parte dei ‘70 (Macchie solari), dimentichi delle poche grida e degli ambienti eleganti dei gialli ‘puri’ prodotti in precedenza. All’inizio, poi, questo film di Puglielli ricorda addirittura i Mondo movies e i Cannibal horrors di Deodato, con tutte quelle scene insopportabili di animali torturati e uccisi che mi auguro, da buon animalista, siano solo simulate.
Subito dopo si snoda la classica caccia al serial killer, con il collaudato repertorio di omicidi a iosa, false piste e scheletri nell’armadio che emergono dal passato di personaggi insospettabili.
Lo spettatore può scegliere di sospettare tra un malato in fin di vita, due giovani donne con cui viene in contatto il poliziotto protagonista, una lavorante di un ospedale e un professore universitario. Ma c’è anche uno strano studente che non parla mai e guarda di sottecchi alcuni protagonisti del film quando questi si trovano in Facoltà!….
La matrice italiana della pellicola si nota più che altro dal tipo di movente, che vede, come in Profondo rosso o I corpi presentano tracce di violenza carnale la presenza di un trauma infantile e di una bambola, nonché un pizzico di ‘sana’ psicopatologia sessuale.
A parte il coraggio (lo dico senza ironia), sembrerebbe, fin qui, che questo film non abbia meriti particolari. Invece li ha. La spettacolarità, ad esempio, che era stata quasi abolita nel decennio scorso, qui abbonda senza paura di esagerare e, di conseguenza, ha dei buoni momenti di tensione, anche se concentrata quasi tutta verso la fine. La recitazione, sempre impeccabile, e l’anticonformismo di Luigi Lo Cascio, che benché venga prima dal teatro e poi dal cinema d’autore ha dimostrato che un attore con la A maiuscola non disdegna un cinema senza messaggi e fatto di pura emozione, inteso solo come spettacolo popolare. Il fatto di non avere una morale, cosa che di per sé non è né buona né cattiva, qui diventa una vera qualità e segno di intelligenza da parte del regista, che evita così di appesantire il film e di dargli un tono insincero, impressione che mi hanno dato gli ultimi gialli ‘mass-mediologici’ come Cattive inclinazioni o Il siero della vanità.
Poco conta se a volte la trama è improbabile (non era così anche nel capolavoro di Jonathan Demme tanto caro ai nuovi registi?), come nella scena in cui Lo Cascio va a trovare il malato in ospedale e lo trova sì sempre steso sul solito letto della solita stanza, ma senza la sua abituale testa, sostituita dal killer con quella di una bambola di legno.
Ora, Voi che leggete, potreste dire a ragion veduta che, non avendo mai provato a farlo non ho i mezzi per sostenerlo, ma ritengo alquanto difficile entrare in un ospedale, segare la testa di un paziente e portarla via dopo averla prontamente sostituita con una finta portata lì in una busta. E fare il tutto senza sporcare il cuscino (a meno che l’assassino non abbia avuto l’accortezza di sostituire pure quello).
Il parziale riscatto del film, come dicevo poc’anzi, sta tutto nella sontuosa scena finale, che culmina quando il colpevole di tali nefandezze, ferito a morte, precipita giù da una rupe su uno spicchio di mare dal fondale basso subito dopo il fantoccio mostruoso che aveva costruito, che da sotto l’acqua sembra attenderlo mentre lui, cadendo, lo vede e grida terrorizzato come sentendosi inghiottito definitivamente nei suoi incubi e nelle sue ossessioni malate.
La scena è resa con una tale precisione visiva da fare capire che quel che manca a Puglielli non è certo il talento tecnico, ma solo uno script più adeguato.
Comunque sia, potete capire come Occhi di cristallo sembri più un tentativo di far rinascere l’horror made in Italy piuttosto che il giallo dell’età d’oro che va dal ’69 al ‘72.
Come mai nessuno vuole provarla, questa benedetta mezza misura tra Montalbano e il film di paura?    
 
Giovanni Modica (recensione fatta nel novembre del 2004)

Nessun commento:

Posta un commento