Sgombriamo il campo dagli
equivoci fin da subito, in favore di coloro che, più giovani, non si sono mai
posti in relazione con lo stile del primo Sam Raimi: pur se distante dalla saga
di Spiderman, l’horror in questione NON
è un film che si possa prendere troppo sul serio...
Detto questo, Drag Me to Hell
mantiene tutte, ma proprio tutte, le promesse in cui sperano i fan storici di
questo regista. Rutilante e furioso, con un incipit entusiasmante, lo
spettacolare lavoro ci intrattiene con due ore che scivolano via tutte d’un
fiato, denso di effetti speciali ineccepibili (tranne che per un momento
dell’ultimissima sequenza tra le fiamme, troppo simile ad un cartoon), ma
soprattutto tempi perfetti. Questo è il Sam Raimi più autentico, quello di La Casa e – come detto – non quello
della saga di Peter Parker, motivo per cui da questa pellicola traspare una sincerità
che negli ultimi anni si era persa.
Raimi resta di certo il più furbo tra gli autori del cinema horror:
condendo quel tanto che basta le sue storie di alleggerimenti ed iperboli, si
pone al riparo, rispetto a critica e pubblico, da qualsiasi accusa; come
dicesse di continuo: ‘sì, ma io scherzavo’. Nonostante questo comodo alibi,
sicuramente preferibile alla supponenza di altri colleghi, è innegabile la sua
maestria e la sua capacità di scegliere e valorizzare il meglio tra i montatori,
i musicisti e gli effettisti sul mercato. Insomma, le leggende di cui tratta il
film sono riciclate in favore della popcorn-generation e l’implausibile trama
non regge né dal punto di vista logico né per così dire ‘teo-logico’, ma se la
parola regista è ancora sinonimo di coordinatore di forze, qui siamo
oggettivamente al massimo. Ciò che latita in questo piacevole stordimento è invece
l’atmosfera, che non offre mai l’inquietudine di un’attesa prolungata e
silenziosa (volendo sfociare nei gusti personali).
Il lato sincero di cui parlavamo si trova in parte proprio nei difetti
sopra enunciati, ma soprattutto dall’evidente divertimento dell’autore che
traspare da questo suo ritorno alle origini dal budget considerevole.
Nell’antecedente trasferta fumettistica, nonostante l’azione, tutto appariva
più monocorde, e quando è così difficilmente si riesce a nascondere gli intenti
esclusivamente commerciali che animano un’operazione.
Preferiremmo quindi non focalizzarci troppo sulla traballante vicenda
per non sentirci più sadici del regista, basti sapere che la protagonista (la
Alison Lohman di Il Genio della Truffa
e False Verità) si becca da una
zingara una maledizione per una mancata proroga di sfratto ed entro tre giorni
andrà all’inferno, nonostante i suoi affannosi tentativi di salvarsi. Un
inferno che apre letteralmente la terra pur di risucchiare dentro di sé i suoi
condannati ancora vivi. A proposito di questo aspetto, la prima - bellissima -
scena del film vede sprofondare negli inferi un bambino, e questa trovata così
inusuale ci dà l’illusione di essere di fronte a qualcosa di davvero diverso, cosa
che nella sostanza non è.
Si è tanto detto del sottostrato umoristico della pellicola, abbiamo
visto la definizione di “horror comico”. Beh, questa è un’estremizzazione che
non condividiamo: un conto è dire che Drag
Me to Hell è un’opera che non prende sul serio se stessa e che non va ritenuta
‘di paura’ tout-court, un altro è dire che arriva agi stessi livelli di
comicità trash di La Casa 2. Noi la
definiremmo un lavoro semiserio, una pellicola che nella memoria può rimanere
grazie ad elementi vari ma non certo umoristici, visto che la leggerezza non
arriva assolutamente a sovrastare la potenza dei ‘sobbalzoni’ e dei feroci
colpi di scena. Le iperboli che più abbiamo apprezzato riguardano le scene di
lotta tra l’indistruttibile vecchia gitana e la protagonista nel parcheggio,
davvero magistrale, e quella del cimitero, svoltasi come da trita tradizione
sotto un fitto temporale.
Chi cerca un horror alla The Omen
stia alla larga. Chi al contrario cerca un horror cinico e divertito senza
alcun pudore, abbracci pure quello che risulta essere il parto più riuscito di
Raimi in questo genere, che si può definire IL SUO per antonomasia.
Giovanni Modica (recensione fatta nel settembre del 2009)
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