sabato 9 marzo 2013

DRAG ME TO HELL di Sam Raimi

Sgombriamo il campo dagli equivoci fin da subito, in favore di coloro che, più giovani, non si sono mai posti in relazione con lo stile del primo Sam Raimi: pur se distante dalla saga di Spiderman, l’horror in questione NON è un film che si possa prendere troppo sul serio...
   Detto questo, Drag Me to Hell mantiene tutte, ma proprio tutte, le promesse in cui sperano i fan storici di questo regista. Rutilante e furioso, con un incipit entusiasmante, lo spettacolare lavoro ci intrattiene con due ore che scivolano via tutte d’un fiato, denso di effetti speciali ineccepibili (tranne che per un momento dell’ultimissima sequenza tra le fiamme, troppo simile ad un cartoon), ma soprattutto tempi perfetti. Questo è il Sam Raimi più autentico, quello di La Casa e – come detto – non quello della saga di Peter Parker, motivo per cui da questa pellicola traspare una sincerità che negli ultimi anni si era persa.
   Raimi resta di certo il più furbo tra gli autori del cinema horror: condendo quel tanto che basta le sue storie di alleggerimenti ed iperboli, si pone al riparo, rispetto a critica e pubblico, da qualsiasi accusa; come dicesse di continuo: ‘sì, ma io scherzavo’. Nonostante questo comodo alibi, sicuramente preferibile alla supponenza di altri colleghi, è innegabile la sua maestria e la sua capacità di scegliere e valorizzare il meglio tra i montatori, i musicisti e gli effettisti sul mercato. Insomma, le leggende di cui tratta il film sono riciclate in favore della popcorn-generation e l’implausibile trama non regge né dal punto di vista logico né per così dire ‘teo-logico’, ma se la parola regista è ancora sinonimo di coordinatore di forze, qui siamo oggettivamente al massimo. Ciò che latita in questo piacevole stordimento è invece l’atmosfera, che non offre mai l’inquietudine di un’attesa prolungata e silenziosa (volendo sfociare nei gusti personali).  
   Il lato sincero di cui parlavamo si trova in parte proprio nei difetti sopra enunciati, ma soprattutto dall’evidente divertimento dell’autore che traspare da questo suo ritorno alle origini dal budget considerevole. Nell’antecedente trasferta fumettistica, nonostante l’azione, tutto appariva più monocorde, e quando è così difficilmente si riesce a nascondere gli intenti esclusivamente commerciali che animano un’operazione.
   Preferiremmo quindi non focalizzarci troppo sulla traballante vicenda per non sentirci più sadici del regista, basti sapere che la protagonista (la Alison Lohman di Il Genio della Truffa e False Verità) si becca da una zingara una maledizione per una mancata proroga di sfratto ed entro tre giorni andrà all’inferno, nonostante i suoi affannosi tentativi di salvarsi. Un inferno che apre letteralmente la terra pur di risucchiare dentro di sé i suoi condannati ancora vivi. A proposito di questo aspetto, la prima - bellissima - scena del film vede sprofondare negli inferi un bambino, e questa trovata così inusuale ci dà l’illusione di essere di fronte a qualcosa di davvero diverso, cosa che nella sostanza non è.
   Si è tanto detto del sottostrato umoristico della pellicola, abbiamo visto la definizione di “horror comico”. Beh, questa è un’estremizzazione che non condividiamo: un conto è dire che Drag Me to Hell è un’opera che non prende sul serio se stessa e che non va ritenuta ‘di paura’ tout-court, un altro è dire che arriva agi stessi livelli di comicità trash di La Casa 2. Noi la definiremmo un lavoro semiserio, una pellicola che nella memoria può rimanere grazie ad elementi vari ma non certo umoristici, visto che la leggerezza non arriva assolutamente a sovrastare la potenza dei ‘sobbalzoni’ e dei feroci colpi di scena. Le iperboli che più abbiamo apprezzato riguardano le scene di lotta tra l’indistruttibile vecchia gitana e la protagonista nel parcheggio, davvero magistrale, e quella del cimitero, svoltasi come da trita tradizione sotto un fitto temporale.
  Chi cerca un horror alla The Omen stia alla larga. Chi al contrario cerca un horror cinico e divertito senza alcun pudore, abbracci pure quello che risulta essere il parto più riuscito di Raimi in questo genere, che si può definire IL SUO per antonomasia.
 
Giovanni Modica (recensione fatta nel settembre del 2009)

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