sabato 22 giugno 2013

SIGNORE E SIGNORI di Pietro Germi (recensione di Simona Zagnoni)

Il Caffè è ancora lì, in Piazza dei Signori. Per chi arriva a Treviso una sosta è d’obbligo, anche solo per ricordare la memorabile scena in cui tutta la compagnia di “amici” del film di Pietro Germi “Signore e Signori” è seduta ai tavolini di quello stesso Caffè a sorseggiare drinks, a fare pettegolezzi e soprattutto ad ammirare con sguardo bramoso le grazie femminili delle passanti.
Treviso, che non viene mai nominata, ma che è palesemente evocata dalle suggestive immagini in bianco e nero del film del 1966 di Germi, vincitore, non a caso, del Gran Prix per il miglior film al 19° Festival di Cannes (ex aequo con il film “Un uomo, una donna” di Claude Lelouche), oltre a due David di Donatello e a ben tre Nastri d’Argento.
Dalla prospettiva dunque di una piccola città di provincia e di una compagnia di amiconi - professionisti e commercianti della medio-alta borghesia - Germi racconta l’intero Paese, l’Italietta del boom economico, attraverso un romanzo corale che si articola in un trittico di storie che coinvolgono lo stesso gruppo di personaggi e che già per tale ragione di discosta dalla commedia ad episodi tanto frequente in quella stagione della nostra cinematografia.
Il film si pone come satira feroce ed impietosa dell’ipocrisia provincia italiana, rimandando così ad un altro film di Germi, “Un maledetto imbroglio” del 1959 - in cui il protagonista, il commissario Ingravallo, interpretato dallo stesso regista, appare già allergico ed insofferente ai manierismi di un’alta borghesia pseudo-colta e viziata - e rappresenta il terzo atto di una trilogia del grottesco (“Divorzio all’italiana, 1961, e “Sedotta e abbandonata”, 1964) in cui il nostro autore mette crudamente a nudo i deplorevoli costumi ed i vizi di una società bigotta e perbenista.
E quale migliore ambientazione, per le vicende narrate nel film, di una cittadina veneta, prototipo, soprattutto in quell’epoca storico-politica, di religiosità bigotta e ipocrita perbenismo?
Una cittadina che resta imprecisata per tutta la durata del film, ma in cui, come si è detto, è  ben riconoscibile Treviso.
Una Treviso profondamente provinciale, profondamente italiana.
Perché tutta l’Italia è provincia, fatta di piccole città, piccoli centri e paesi in cui tutti si conoscono e “tutti sanno tutto di tutti”.
Come in un giro di ballo qui si intrecciano le storie di un gruppo di amici, tutti “signori perbene” appunto, che però non esitano a tradire l’amico e compagnone di scherzi con la di lui moglie, bella e disponibile, come nell’episodio con Toni Gasparini (Antonio Lionello) e il Professor Giacinto Cattelan (un Gigi Ballista perfetto anche grazie al phisique du role).
Oppure immaginano di fuggire dalla moglie arpia e insopportabile con l’amata e bellissima commessa della tabaccheria della Piazza, come nell’amaro episodio che vede protagonisti il povero ragioniere Osvaldo Bisigato (Gastone Moschin) e l’elegante dolce Milena (Virna Lisi), costretti purtroppo dall’ipocrita perbenismo della città a interrompere per sempre la loro relazione, per rientrare nei ranghi l’uno di marito e padre (la separazione non è ammessa dal comune sentire ed il divorzio ancora non è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano), l’altra nel ruolo di “brava ragazza” che non “sfascia” una famiglia.
Ma se degli uomini il regista traccia un ritratto impietosamente negativo, le donne non ne escono meglio.
Non a caso già nel titolo il film evoca anche le c.d. “Signore”.
Come la bella e vivace Noemi, moglie del Professor Cattelan, che non disdegna di tradire il consorte con il suo amico Toni Gasparini, che proprio per avere maggiore libertà di azione si è finto impotente con il di lei marito, così da renderlo meno attento e vigile sulla giovane  e procace mogliettina.
O, ancora, come la ragazzina finta ingenua che per ottenere un bell’abituccio, un bel paio di scarpine nuove e una borsetta non esita a prostituirsi o, meglio, a “concedersi” ai vari “signori” mariti e padri devoti.
Peccato che il di lei padre, il rozzo e testardo contadino Cristofoletto, denunci tutti per corruzione di minorenne, creando una situazione quanto mai imbarazzante per tutti i suddetti “signori” e le loro benpensanti mogli!
Cosicché la ricca, irreprensibile e bigottissima Ippolita Gasparini (una bravissima Olga Villi, che per la sua interpretazione vinse anche un David di Donatello), sorella di Toni, tutta dedita ad attività di beneficenza e a consigli parrocchiani, a pranzi con monsignori e vescovi, alla salvaguardia della morale cittadina, si trova costretta a intervenire, per salvare gli onorati fratelli, mariti e padri di famiglia, con una ingente offerta di denaro a Cristofoletto perché ritiri la denuncia, salvo poi cedere di buon grado, per lo stesso “elevato” fine, anche alle profferte sessuali dello stesso in un lurido pagliaio!
Un quadro spietato, quello dipinto da Pietro Germi, ma quanto mai attuale. In una società, la nostra occidentale, ove la “facciata” e le apparenze contano ben di più della sostanza, ove l’avere prevale sull’essere.
Una società, quella in cui viviamo, che ha fatto del denaro il vero “dio”, l’unico idolo adorato, e del sesso un normale strumento di scambio, anche per adolescenti che aspirano ad avere il cellulare ultimo modello, o una seduta dall’estetista oppure la borsetta da sera firmata Louis Vuitton
Del resto cosa ci raccontano ogni giorno stampa e televisione? Di politici e professori universitari che chiedono sesso per elargire favori o fare superare esami e, dall’altra parte, di ragazze che allo scambio sono ben disposte, lo considerano” normale”!
Non tutte per fortuna. Ma quelle che “non ci stanno” dovranno fare tanta fatica in più e sicuramente non otterranno i posti e le mansioni migliori o le migliori retribuzioni.
Salvo avere la consolazione di essere oneste e di sentirsi a posto con la propria coscienza, valore non quantificabile.
Oppure dovranno lasciare questo nostro Paese malato, che non è mai cambiato dall’epoca di quel film di Germi. Anche lì, del resto, lo scandalo viene insabbiato, i deboli sono indotti a tacere con il denaro, di cui hanno bisogno, e il giornalista è costretto a cancellare, a poco a poco, riga per riga, il suo articolo di denuncia, tanto che alla fine ordina sconsolato alla segretaria di buttare via tutto. Altrimenti perde il posto e gli chiudono il giornale. I Signori e le Signore!
 
Note: preme all’autrice del testo segnalare che il medesimo intende essere solo un contributo a carattere molto personale, senza pretesa di competere con la vastissima produzione critica sul cinema di Pietro Germi, alla quale si rimanda
 
                                                         Simona Zagnoni (recensione fatta nel mese di settembre del 2012)