Atom Egoyan: un regista con
diverse corde al suo violino. Credevo di averlo inquadrato in uno stile fluido
ed elegante ma lineare con il noiosissimo Exotica e il sorprendente Il
viaggio di Felicia. Mi manca ancora Il dolce domani per poter dire
qualcosa di più completo sul suo conto, ma intanto che colmo questa lacuna
(cosa che a questo punto per me diventa d’obbligo…), mi focalizzerò
strettamente su questo film, dallo stile molto meno intellettuale degli altri.
Meno intellettuale chiaramente non sta a significare meno intelligente bensì
solo meno “intimista”. Anzi questo thriller del regista canadese è quanto di
più intelligente possa esserci al cinema oggi, e rappresenta una vera sfida
alla concentrazione dello spettatore, trattandosi di uno di quei film che se ti
alzi dalla sedia un momento per andare in bagno rischi di perdere qualcosa di
determinante. Più che di semplice thriller, si tratta della più intrigante
frangia del genere giallo propriamente detto, inteso come murder-mystery e per
di più senza la presenza della polizia.
Affastellamenti, depistaggi
apparentemente farraginosi che confluiscono sorprendentemente in una soluzione
lineare che lo stile del film apparentemente escluderebbe fin dai titoli. Se vi
piacque Chinatown, non potete perdere questo film; se cercate balzi
sulla sedia invece vi consiglierei di orientarvi altrove.
Siamo sul terreno
dell’hard-boiled in un contesto temporale insolito (va dagli anni ’50 ai ’70).
Kevin Bacon, Colin Firth e Alison
Lohman (costei l’abbiamo vista in un ruolo da finta adolescente ne Il genio
della truffa di Ridley Scott) sono a pari merito i protagonisti del film,
impedendo allo spettatore un’immedesimazione totale con qualcuno di essi.
Anni ’70: Lenny Morris (Kevin
Bacon) e Vince Collins (Colin Firth) sono due ex conduttori umoristici di molte
fortunate edizioni di Telethon di vent’anni prima. Una casa editrice molto
accorta decide di rispolverarli per cavalcare la moda dei personaggi di una
volta che si raccontano senza pudore alcuno. Così, per questo compito viene
scelta Karen, una ragazza che da piccola partecipò come ospite ad una puntata
del programma dei due in qualità di persona guarita grazie ai fondi della
trasmissione. Karen si ricorda di una frase molto dolce e commovente detta a
lei senza microfoni da Lenny, e anche per questo vuole fare luce sulla sordida
vicenda di una donna trovata morta dopo avere avuto rapporti con lui in un
albergo. Il caso fu all’epoca quasi insabbiato. C’è di mezzo di tutto: droghe,
collusioni con la mafia e vizio, ma il modo con cui lei conduce le sue indagini
è ingannevole finché il suo “gioco” viene a galla e lei stessa viene ricattata.
Per una cosa mi trovo pienamente
d’accordo con un giornalista di un noto quotidiano che sostiene che per uno
spettatore particolarmente attento – ma particolarmente! – non è impossibile
indovinare CHI ha creato la situazione. Ma il movente è tutt’altro che
immaginabile! Così come non immaginabile è la parziale estraneità sia di Lenny
che di Vince. Ma di più non mi sento in diritto di svelare…. Il finale è
dolceamaro come nel già citato Chinatown.
Le musiche di Mychael Danna sono,
come da tradizione nella filmografia del regista, tutte di stampo
“herrmanniano”. Nessuno se ne è mai lamentato e quindi la recidività di questa
scelta è giusta.
Le scene migliori? Tutte quelle
ambientate nella stanza di albergo che rappresenta il fulcro della vicenda
criminosa e quelle all’interno della mastodontica villa di Vince. Si sa che le
droghe sono sempre state una buona e facile occasione per fare dimostrare a un
regista il suo talento con immagini divertenti sia per chi le gira che per chi
le guarda, a meno che non si esageri. Egoyan non aveva bisogno di dimostrare il
suo virtuosismo, ma ha fatto bene a sbizzarrirsi con luci e montaggi
alternativi perché anche i neuroni dello spettatore a un certo punto devono riposarsi
e lasciare il posto alla gioia degli occhi. Gioia degli occhi anche per ciò che
viene mostrato (almeno per uno spettatore maschio), visto che si rappresentano
soprattutto scene di sesso tra due belle donne. Non dettagliate. Lo voglio
specificare, consapevole che a qualcuno potrebbe non piacere uno spettacolo
lesbico. L’implacabile censura USA non ha perso l’occasione di criticare queste
scene. Ma Atom non è un pornografo; e
poi ricordiamoci che nonostante il film sia co-prodotto dagli States, la sua cultura
è canadese.
Quindi il merito di Egoyan non
sta tanto nelle splendide scene con cui ha descritto il film, cosa per lui
usuale, ma anche e soprattutto in un elemento meno scontato che è l’ossatura
dell’opera: una trama come questa, tratta dal romanzo “Where the truth lies” di
Rupert Holmes, era estremamente difficile da riassumere in due ore di film.
Certo merito anche dell’addetta al montaggio Susan Shipton, ma il regista è
stato anche curatore della sceneggiatura, ed il risultato è straordinario.
Giovanni Modica (recensione fatta nell’aprile del 2006)
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