sabato 9 marzo 2013

FALSE VERITÀ di Atom Egoyan

Atom Egoyan: un regista con diverse corde al suo violino. Credevo di averlo inquadrato in uno stile fluido ed elegante ma lineare con il noiosissimo Exotica e il sorprendente Il viaggio di Felicia. Mi manca ancora Il dolce domani per poter dire qualcosa di più completo sul suo conto, ma intanto che colmo questa lacuna (cosa che a questo punto per me diventa d’obbligo…), mi focalizzerò strettamente su questo film, dallo stile molto meno intellettuale degli altri. Meno intellettuale chiaramente non sta a significare meno intelligente bensì solo meno “intimista”. Anzi questo thriller del regista canadese è quanto di più intelligente possa esserci al cinema oggi, e rappresenta una vera sfida alla concentrazione dello spettatore, trattandosi di uno di quei film che se ti alzi dalla sedia un momento per andare in bagno rischi di perdere qualcosa di determinante. Più che di semplice thriller, si tratta della più intrigante frangia del genere giallo propriamente detto, inteso come murder-mystery e per di più senza la presenza della polizia.
Affastellamenti, depistaggi apparentemente farraginosi che confluiscono sorprendentemente in una soluzione lineare che lo stile del film apparentemente escluderebbe fin dai titoli. Se vi piacque Chinatown, non potete perdere questo film; se cercate balzi sulla sedia invece vi consiglierei di orientarvi altrove.
Siamo sul terreno dell’hard-boiled in un contesto temporale insolito (va dagli anni ’50 ai ’70).
Kevin Bacon, Colin Firth e Alison Lohman (costei l’abbiamo vista in un ruolo da finta adolescente ne Il genio della truffa di Ridley Scott) sono a pari merito i protagonisti del film, impedendo allo spettatore un’immedesimazione totale con qualcuno di essi.
Anni ’70: Lenny Morris (Kevin Bacon) e Vince Collins (Colin Firth) sono due ex conduttori umoristici di molte fortunate edizioni di Telethon di vent’anni prima. Una casa editrice molto accorta decide di rispolverarli per cavalcare la moda dei personaggi di una volta che si raccontano senza pudore alcuno. Così, per questo compito viene scelta Karen, una ragazza che da piccola partecipò come ospite ad una puntata del programma dei due in qualità di persona guarita grazie ai fondi della trasmissione. Karen si ricorda di una frase molto dolce e commovente detta a lei senza microfoni da Lenny, e anche per questo vuole fare luce sulla sordida vicenda di una donna trovata morta dopo avere avuto rapporti con lui in un albergo. Il caso fu all’epoca quasi insabbiato. C’è di mezzo di tutto: droghe, collusioni con la mafia e vizio, ma il modo con cui lei conduce le sue indagini è ingannevole finché il suo “gioco” viene a galla e lei stessa viene ricattata.
Per una cosa mi trovo pienamente d’accordo con un giornalista di un noto quotidiano che sostiene che per uno spettatore particolarmente attento – ma particolarmente! – non è impossibile indovinare CHI ha creato la situazione. Ma il movente è tutt’altro che immaginabile! Così come non immaginabile è la parziale estraneità sia di Lenny che di Vince. Ma di più non mi sento in diritto di svelare…. Il finale è dolceamaro come nel già citato Chinatown.
 
Le musiche di Mychael Danna sono, come da tradizione nella filmografia del regista, tutte di stampo “herrmanniano”. Nessuno se ne è mai lamentato e quindi la recidività di questa scelta è giusta.
Le scene migliori? Tutte quelle ambientate nella stanza di albergo che rappresenta il fulcro della vicenda criminosa e quelle all’interno della mastodontica villa di Vince. Si sa che le droghe sono sempre state una buona e facile occasione per fare dimostrare a un regista il suo talento con immagini divertenti sia per chi le gira che per chi le guarda, a meno che non si esageri. Egoyan non aveva bisogno di dimostrare il suo virtuosismo, ma ha fatto bene a sbizzarrirsi con luci e montaggi alternativi perché anche i neuroni dello spettatore a un certo punto devono riposarsi e lasciare il posto alla gioia degli occhi. Gioia degli occhi anche per ciò che viene mostrato (almeno per uno spettatore maschio), visto che si rappresentano soprattutto scene di sesso tra due belle donne. Non dettagliate. Lo voglio specificare, consapevole che a qualcuno potrebbe non piacere uno spettacolo lesbico. L’implacabile censura USA non ha perso l’occasione di criticare queste scene. Ma Atom  non è un pornografo; e poi ricordiamoci che nonostante il film sia co-prodotto dagli States, la sua cultura è canadese.
Quindi il merito di Egoyan non sta tanto nelle splendide scene con cui ha descritto il film, cosa per lui usuale, ma anche e soprattutto in un elemento meno scontato che è l’ossatura dell’opera: una trama come questa, tratta dal romanzo “Where the truth lies” di Rupert Holmes, era estremamente difficile da riassumere in due ore di film. Certo merito anche dell’addetta al montaggio Susan Shipton, ma il regista è stato anche curatore della sceneggiatura, ed il risultato è straordinario.
 
Giovanni Modica (recensione fatta nell’aprile del 2006)

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