lunedì 11 marzo 2013

L’OMBRA DEL DUBBIO di Alfred Hitchcock

Con l’aggettivo ‘seminale’ solgono definirsi solo alcuni film nella storia del cinema, e non sempre si tratta dei titoli rimasti incisi nell’immaginario collettivo. Spesso si tratta infatti di opere minori o di relativo successo, ma che hanno posto solide basi per nuovi filoni, tendenze e topoi all’interno della settima arte. Come definire altrimenti Shadow of a Doubt, (it: L’ombra del dubbio, 1943), nientemeno l’opera di cui il celebre Alfred Hitchcock andava maggiormente orgoglioso? Tra i film del regista, si può azzardare un paragone solo con Delitto per delitto (per via dello scambio di commissioni delittuose tra due personaggi, ripresa innumerevoli volte ispirandosi più al film che al romanzo di Patricia Highsmith da cui esso trasse la trama), o Psycho (per via dello sdoppiamento di personalità), ma in questi casi si tratta di film celeberrimi e quindi non bisognosi di alcuna presentazione particolare. Ben diverso è il  caso del film di cui stiamo scrivendo ora: in L’ombra del dubbio la trama è riassumibile in poche righe, ma non è certo nella struttura che va ricercato il valore seminale del film. In questa storia, che vede il ritorno di un losco individuo, tale Charlie (Joseph Cotten, l’unico divo del film), in seno alla famiglia di Santa Rosa in cui era cresciuto e da cui si era distaccato molti anni prima, assistiamo alla rappresentazione di un assassino assolutamente inedita fino ad allora, dato che questo personaggio - un assassino di ricche vedove - è non soltanto il protagonista del film ma anche una persona dal comportamento e dall’eloquio del tutto rispettabile e perfino gradevole fino a circa metà pellicola. L’incipit del film ci porta a sospettare che i due individui (loro sì, in apparenza poco rassicuranti) che lo tallonano non siano altro che creditori se non addirittura malavitosi che vogliono vendicarsi per qualche ‘soffiata’ ai loro danni. In realtà, dopo almeno quaranta minuti di film, scopriremo che i due altri non sono che agenti di polizia, e che il tanto amato zio Charlie è tornato nella cittadina di Santa Rosa solo per rifugiarsi in un luogo insospettabile, dove non lo avrebbe cercato nessuno. Hitch, quindi, in questo suo primo lavoro di ambientazione americana, per la prima volta rovescia gli archetipi classici. Gli spettatori dell’epoca non erano abituati a vedere un cattivo nel ruolo di protagonista e per di più così approfondito sul piano psicologico; erano abituati a vedere i malavitosi come figure concentrate solo ed esclusivamente sui loro progetti nefandi, per nulla propensi a discorrere su temi generali della vita in modo spicciolo e quotidiano. Non erano abituati ad affezionarsi al Male. Tutto ciò rende L’ombra del dubbio un film altamente spiazzante con un meccanismo di tensione a lenta carburazione, quasi un cross-over tra la commedia della prima mezz’ora – data dal confronto tra i simpatici personaggi della famiglia e il nuovo ospite – e il dramma che caratterizza il prosieguo della storia.
   In particolare, dal momento in cui la nipote Carla viene a conoscenza per la prima volta del passato dell’uomo leggendo un articolo in emeroteca, assistiamo a una metamorfosi progressiva di contenuto e stile. Da quel momento in poi, infatti, il clima del film si fa più teso e sulfureo, i commenti di Charlie sulla vita sempre più ficcanti e maligni, come ad esempio una sua considerazione rabbiosa contro il fenomeno sociale delle ricche vedove che dopo la morte dei loro consorti dissipano nel vizio i risparmi accumulati in una vita dai loro mariti. Ed è proprio in questo discorso, tenuto a cena di fronte all’intera famiglia, che mostra tutta la sua vera personalità; a quel punto noi spettatori sappiamo già cosa egli aveva fatto, e sappiamo perfettamente come interpretare le sue parole. Charlie è un ambiguo giustiziere con una sua morale distorta ma precisa, in bilico tra l’ansia di fare giustizia e l’opportunismo più criminale che possa esistere. L’intento dichiarato di Hitchcock di voler shoccare l’ingenuo spettatore dell’epoca mostrando l’insediamento di una serpe in seno a una famiglia perbene è esemplificato per intero in questa singola scena.
   Lo svincolo narrativo determinante lo abbiamo quando in città giunge l’erronea notizia che il famoso “assissino di vedove” è stato ucciso mentre tentava di scappare. Come detto, la nipote Carla è l’unica a sapere che in realtà il vero colpevole non era l’uomo di cui parlano i giornali ma colui che fino a un giorno prima era il secondo indiziato, ovvero suo zio, e ne ha conferma notando le iniziali di una delle vedove uccise incise sull’anello che lui le aveva regalato, non può tuttavia  informare la polizia del fatto finché lui rimane nella sua casa per non suscitare lo scandalo della città intorno alla famiglia (siamo nel 1943). Logicamente lui, sapendo questo, se ne guarda bene dal lasciare il luogo. Tuttavia l’uomo decide di non fidarsi troppo della salvaguardia del ‘buon nome familiare’ ventilata da Carla e cerca invano di ucciderla in un paio di occasioni. Con uno stratagemma, allora, finge di voler partire con l’unico fine di trattenere sul treno la nipote e scaraventarla dal mezzo poco dopo la partenza. Ma nella colluttazione Carla ha la meglio ed è lui a venire scaraventato fuori e travolto da un altro treno. In linea con il suo humour nero, il regista ci mostra la scena sovrapponendole le immagini di un giro di valzer sulle note de “La vedova allegra”.
   Tutto torna come prima: a Santa Rosa l’uomo sarà pianto come vittima di una disgrazia, e la ragazza tiene tutta la verità nascosta per non turbare l’ambiente e soprattutto per proteggere da un’atroce delusione l’affezionatissima madre. Coerentemente, la parte oscura della famiglia resta sepolta nell’oscurità.
   Degno di nota è il divertente svincolo narrativo che vede a più riprese, e per la durata di tutto il film, il padre di Carla Joseph intento a discutere con Herbie, un suo amico appassionato di gialli, su quale sia il modo più pratico per uccidere la gente: egli sostiene che gli autori europei siano ‘troppo fantasiosi’ e scelgono modi poco pratici e eccessivamente contorti per uccidere. “Niente è funzionale più di una bella botta in testa!”, è l’obiezione più classica di Joseph. Autoironia per eccellenza, considerato che l’autore europeo Alfred Hitchcock è il più famoso inventore di delitti macchinosi che si abbia in cinematografia.
 
Giovanni Modica (recensione fatta nel novembre del 2012)

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