lunedì 11 marzo 2013

TEXAS di Fausto Paravidino

Basso Piemonte: tra miti esotici e realtà terrena vivono gli sclerotizzati abitanti di un paesino in cui le vite di un gruppo di adolescenti in contrasto coi genitori si intrecciano con quelle di una coppia quarantenne. La causa sono le ‘debolezze’ una maestra per un ragazzo del gruppo. La tensione tra il giovane e il fidanzato di lei cresce fino a sfiorare una tragedia. Ma non è che una storia come tante, e la vita deve andare avanti. Anche se tutt’altro che in modo sereno. 

Il profondo nord visto dal di dentro. Siamo dinnanzi ad un film imperfetto ma dotato di un indubbia forza. Fausto Paravidino non è un emergente per la tv (“Cefalonia”), ma nel cinema il suo nome ancora non è decollato.
A tal proposito, è sempre un rischio vedere un film italiano di un nuovo regista o quasi, ma se si decide di farlo bisogna comportarsi non come uno spettatore della domenica ma come un vero cinefilo: vale a dire che se non si sopportano i primi 30-45 minuti bisogna resistere alla tentazione di andarsene pensando di aver già capito tutto e continuare a seguire con interesse.
Qui ad esempio sulle prime pare di trovarsi di fronte a un’ennesima commedia amara adolescenziale in puro stile Muccino con tanto di contorno di “adulti” in crisi esistenziali. Nonché dinnanzi a un film sulla pseudo-trasgressione giovanile da sabato sera settentrionale, montata e recitata alla maniera dei film di Luciano Ligabue, ma con l’aggiunta di colossali rutti e ubriacature tipici delle zone padane. Il ritratto, pur veritiero nel suo desolante anche se ironico contenuto, sapeva quindi di già raccontato, e da un momento all’altro ci si sarebbe aspettato qualche riferimento facile alle stragi del sabato sera.
Ma c’è sempre un “ma”. 

Un apporto alla sterzata del film lo da decisamente il personaggio di Valeria Golino, che in effetti innesta tutta la vicenda narrata a ritroso e in modo frammentato dal regista qui anche nelle vesti di attore nel ruolo di Enrico.
Il suo personaggio è la classica donna della discordia all’interno di un piccolo paese, ma la sua situazione è descritta senza banalità, evidenziando il contrasto tra la rozzezza dei censori del suo comportamento “confidenziale” con un adolescente - considerato disdicevole per un’insegnante come lei - e la finezza di lei. Certo, la maestra pecca di infedeltà nei confronti del suo uomo, ma non è tanto questo il punto che scatena le maldicenze quanto l’età anagrafica del suo pupillo, anche lui fedifrago. Il padre del giovane, un uomo con aspirazioni politiche, contribuisce suo malgrado a pubblicizzare la cosa. Qui emerge con forza quanto tra nord e sud certe vedute si equivalgano. 

A metà proiezione si ha addirittura una perla di saggezza, un momento in cui Cinzia (la ragazza ufficiale del ‘pupillo’) descrive a un amico del gruppo la sua famiglia partendo dai dettagli della sua/loro casa, un’abitazione piena di trasandatezza e di vetri rotti rappezzati con lo scotch da anni. Il suo interlocutore le fa notare che forse è una questione di povertà, ma lei sgombera il campo dagli equivoci, spiegando che non sono i soldi a mancare ma che si tratta di una vera forma mentis, o meglio di “una cronica disattenzione per tutto ciò che è considerato superfluo nella vita”; per cui quando lei fa una domanda a sua madre riguardo all’amore per suo padre, lei le risponde “Siamo sposati...” e riguardo all’affetto per lei: “Sei nostra figlia…”. Scambiando le sfumature con il superfluo, i genitori l’hanno spinta quindi ad apprezzare il divertimento scomposto del suo nuovo  gruppo di amici con tutti i suoi aspetti anche degradanti (ma questo aggettivo non viene espresso).
Texas evita di cadere in un altro tranello nel finale, quando si crede di stare per assistere ad un duello-con-vittima anche in virtù del metaforico titolo. Qui si resta spiazzati perché non solo non ci scappa la consumazione della vendetta, ma non si ha nemmeno un diverbio. Resta un eloquente  silenzio che stempera la drammaticità in malinconia.
Intelligente e realistica la reazione del personaggio di una ragazza del gruppo che viene stuprata da un amico, anche questa priva del ‘botto’ che ci si aspetterebbe da un film. 

Riguardo agli attori va detto che non tutti erano “in ruolo”, nel senso che Iris Sposetti/Cinzia (anche coautrice del film) è palesemente più che trentenne e stride col resto del cast. Riccardo Scamarcio è l’attore forse meglio avviato fra i nuovi volti, e il suo sguardo tenebroso l’abbiamo già conosciuto nell’incisivo ruolo del Nero nel bel Romanzo criminale di Placido. La mia percezione è stata che le ragazze in sala fossero lì per lui.
Come già detto, Valeria Golino - unica star - fa un buon servizio al film con un personaggio in cui sembra trovarsi a suo agio.
In definitiva un film da non trascurare, maggiormente riuscito nella sua parte drammatica rispetto a  quella grottesca iniziale. 

Presentato al Festival di Venezia 2005

Giovanni Modica (recensione fatta nell’ottobre del 2005)

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