Il profondo nord visto dal di
dentro. Siamo dinnanzi ad un film imperfetto ma dotato di un indubbia forza.
Fausto Paravidino non è un emergente per la tv (“Cefalonia”), ma nel
cinema il suo nome ancora non è decollato.
A tal proposito, è sempre un
rischio vedere un film italiano di un nuovo regista o quasi, ma se si decide di
farlo bisogna comportarsi non come uno spettatore della domenica ma come un
vero cinefilo: vale a dire che se non si sopportano i primi 30-45 minuti
bisogna resistere alla tentazione di andarsene pensando di aver già capito
tutto e continuare a seguire con interesse.
Qui ad esempio sulle prime pare
di trovarsi di fronte a un’ennesima commedia amara adolescenziale in puro stile
Muccino con tanto di contorno di “adulti” in crisi esistenziali. Nonché
dinnanzi a un film sulla pseudo-trasgressione giovanile da sabato sera
settentrionale, montata e recitata alla maniera dei film di Luciano Ligabue, ma
con l’aggiunta di colossali rutti e ubriacature tipici delle zone padane. Il
ritratto, pur veritiero nel suo desolante anche se ironico contenuto, sapeva
quindi di già raccontato, e da un momento all’altro ci si sarebbe aspettato
qualche riferimento facile alle stragi del sabato sera.
Ma c’è sempre un “ma”.
Un apporto alla sterzata del film
lo da decisamente il personaggio di Valeria Golino, che in effetti innesta
tutta la vicenda narrata a ritroso e in modo frammentato dal regista qui anche
nelle vesti di attore nel ruolo di Enrico.
Il suo personaggio è la classica
donna della discordia all’interno di un piccolo paese, ma la sua situazione è
descritta senza banalità, evidenziando il contrasto tra la rozzezza dei censori
del suo comportamento “confidenziale” con un adolescente - considerato
disdicevole per un’insegnante come lei - e la finezza di lei. Certo, la maestra
pecca di infedeltà nei confronti del suo uomo, ma non è tanto questo il punto
che scatena le maldicenze quanto l’età anagrafica del suo pupillo, anche lui
fedifrago. Il padre del giovane, un uomo con aspirazioni politiche,
contribuisce suo malgrado a pubblicizzare la cosa. Qui emerge con forza quanto
tra nord e sud certe vedute si equivalgano.
A metà proiezione si ha
addirittura una perla di saggezza, un momento in cui Cinzia (la ragazza
ufficiale del ‘pupillo’) descrive a un amico del gruppo la sua famiglia
partendo dai dettagli della sua/loro casa, un’abitazione piena di trasandatezza
e di vetri rotti rappezzati con lo scotch da anni. Il suo interlocutore le fa notare
che forse è una questione di povertà, ma lei sgombera il campo dagli equivoci,
spiegando che non sono i soldi a mancare ma che si tratta di una vera forma
mentis, o meglio di “una cronica disattenzione per tutto ciò che è considerato
superfluo nella vita”; per cui quando lei fa una domanda a sua madre riguardo
all’amore per suo padre, lei le risponde “Siamo sposati...” e riguardo
all’affetto per lei: “Sei nostra figlia…”. Scambiando le sfumature con il
superfluo, i genitori l’hanno spinta quindi ad apprezzare il divertimento
scomposto del suo nuovo gruppo di amici
con tutti i suoi aspetti anche degradanti (ma questo aggettivo non viene
espresso).
Texas evita di cadere in
un altro tranello nel finale, quando si crede di stare per assistere ad un
duello-con-vittima anche in virtù del metaforico titolo. Qui si resta spiazzati
perché non solo non ci scappa la consumazione della vendetta, ma non si ha
nemmeno un diverbio. Resta un eloquente
silenzio che stempera la drammaticità in malinconia.
Intelligente e realistica la
reazione del personaggio di una ragazza del gruppo che viene stuprata da un
amico, anche questa priva del ‘botto’ che ci si aspetterebbe da un film.
Riguardo agli attori va detto che
non tutti erano “in ruolo”, nel senso che Iris Sposetti/Cinzia (anche coautrice
del film) è palesemente più che trentenne e stride col resto del cast. Riccardo
Scamarcio è l’attore forse meglio avviato fra i nuovi volti, e il suo sguardo
tenebroso l’abbiamo già conosciuto nell’incisivo ruolo del Nero nel bel Romanzo
criminale di Placido. La mia percezione è stata che le ragazze in sala
fossero lì per lui.
Come già detto, Valeria Golino -
unica star - fa un buon servizio al film con un personaggio in cui sembra
trovarsi a suo agio.
In definitiva un film da non trascurare,
maggiormente riuscito nella sua parte drammatica rispetto a quella grottesca iniziale.
Presentato al Festival di Venezia
2005
Giovanni Modica (recensione fatta nell’ottobre del 2005)
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